Io disprezzo la gente.
Non la odio: la disprezzo. Il disprezzo sta all’odio come l’uomo
sta alla bestia. C’è molta più civiltà e raffinatezza dietro il
mio sentimento. O almeno così mi dico. Ma a volte questo disprezzo è
così prepotente da farmi tremare come e più dell’odio. Il più
delle volte, in realtà, lo vivo con un sereno e cinico distacco.
Attraverso uno schermo vedo il mondo e me stesso e vi confesso: non
trovo ragioni per escludermi da questo disprezzo.
Ora ad esempio sto qui,
al bar del supermercato. Guardo gli schermi della sicurezza. Guardo
una corsia, quella del cibo e accessori per animali. C’è per terra
una striscia di liquido scuro, blu o verde, ma attraverso lo schermo
è impossibile determinarne la natura. E’ detersivo. L’ho sparso
io, solo pochi minuti fa, fingendo di lasciarlo colare da una
confezione difettosa (che io ho aperto) sistemata sul fondo del mio
carrello. Poi ho allertato il personale del supermercato. Ho pagato
per le mie poche cose ed ho ordinato un caffè corretto sedendomi al
bar. Aspetto.
Un grosso macchinario da
pulizie passa per la corsia, sbuffando liquido schiumoso e ruotando
le spatole. Fa rapidamente pulizia del mio detersivo. Mi rigiro la
tazzina di caffè fra le dita. Il macchinario scompare dallo schermo
lasciando un invisibile strato di liquidi e detersivi sul pavimento
della corsia. Mi avvicino la tazzina alle labbra. Una vecchina entra
nell’inquadratura. Assaporo l’aroma del caffè. La vecchia
avanza. La vecchia è concentrata su quale mangime prendere al suo
gatto. La vecchia è gambe all’aria e poi lunga distesa, immobile.
Vado alla cassa per pagare il caffè che già cominciano ad arrivare
i soccorsi. Dalle vetrate li osservo caricare la vecchia
sull’ambulanza e partire, come si dice, a sirene spiegate.
Per far ammenda decido di
informarmi su quale sia l’ospedale più vicino, a cui probabilmente
han portato la malcapitata. Poi esco, e mi sovviene che sarebbe
scortese da parte mia presentarsi a mani vuote. Fortuna vuole che
vicino al supermercato ci sia un bel cimitero e, per di più, noto un
corteo che sta varcandone i cancelli diretto ad una tumulazione.
M’avvicino senza dare nell’occhio.
E’ uno di quei funerali
veri, fatti per chi muore giovane o di morte violenta. La gente è
accorsa in gran numero e cammina curva dietro al piccolo feretro d’un
ragazzo. La madre, in testa, singhiozza inconsolabile, stringendo un
mazzo di crisantemi fra le dita. La raggiungo lesto e la prendo fra
le braccia, facendole fare qualche giravolta danzante. Quella mi
guarda stupefatta e io le dico: non pianga signora, pensi piuttosto a
quel che dice il fauno sileno. Le strappo i crisantemi dalle mani e
soffiandole un bacio me la dò a gambe.
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