giovedì 22 ottobre 2015

Confessione inutile p. 1

Io disprezzo la gente. Non la odio: la disprezzo. Il disprezzo sta all’odio come l’uomo sta alla bestia. C’è molta più civiltà e raffinatezza dietro il mio sentimento. O almeno così mi dico. Ma a volte questo disprezzo è così prepotente da farmi tremare come e più dell’odio. Il più delle volte, in realtà, lo vivo con un sereno e cinico distacco. Attraverso uno schermo vedo il mondo e me stesso e vi confesso: non trovo ragioni per escludermi da questo disprezzo.
Ora ad esempio sto qui, al bar del supermercato. Guardo gli schermi della sicurezza. Guardo una corsia, quella del cibo e accessori per animali. C’è per terra una striscia di liquido scuro, blu o verde, ma attraverso lo schermo è impossibile determinarne la natura. E’ detersivo. L’ho sparso io, solo pochi minuti fa, fingendo di lasciarlo colare da una confezione difettosa (che io ho aperto) sistemata sul fondo del mio carrello. Poi ho allertato il personale del supermercato. Ho pagato per le mie poche cose ed ho ordinato un caffè corretto sedendomi al bar. Aspetto.

Un grosso macchinario da pulizie passa per la corsia, sbuffando liquido schiumoso e ruotando le spatole. Fa rapidamente pulizia del mio detersivo. Mi rigiro la tazzina di caffè fra le dita. Il macchinario scompare dallo schermo lasciando un invisibile strato di liquidi e detersivi sul pavimento della corsia. Mi avvicino la tazzina alle labbra. Una vecchina entra nell’inquadratura. Assaporo l’aroma del caffè. La vecchia avanza. La vecchia è concentrata su quale mangime prendere al suo gatto. La vecchia è gambe all’aria e poi lunga distesa, immobile. Vado alla cassa per pagare il caffè che già cominciano ad arrivare i soccorsi. Dalle vetrate li osservo caricare la vecchia sull’ambulanza e partire, come si dice, a sirene spiegate.

Per far ammenda decido di informarmi su quale sia l’ospedale più vicino, a cui probabilmente han portato la malcapitata. Poi esco, e mi sovviene che sarebbe scortese da parte mia presentarsi a mani vuote. Fortuna vuole che vicino al supermercato ci sia un bel cimitero e, per di più, noto un corteo che sta varcandone i cancelli diretto ad una tumulazione. M’avvicino senza dare nell’occhio.

E’ uno di quei funerali veri, fatti per chi muore giovane o di morte violenta. La gente è accorsa in gran numero e cammina curva dietro al piccolo feretro d’un ragazzo. La madre, in testa, singhiozza inconsolabile, stringendo un mazzo di crisantemi fra le dita. La raggiungo lesto e la prendo fra le braccia, facendole fare qualche giravolta danzante. Quella mi guarda stupefatta e io le dico: non pianga signora, pensi piuttosto a quel che dice il fauno sileno. Le strappo i crisantemi dalle mani e soffiandole un bacio me la dò a gambe.  

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